Ennio l’animale

Cominciò tirando i capelli a sua zia una sera durante le feste di Natale del 1992. Aveva undici anni. La povera donna lo aveva rimproverato perché continuava a sputare l’acqua in faccia a suo figlio di sei anni e questi, disperato, piangeva e si lamentava. L’aveva afferrata da dietro, tirandola per i capelli annodati a coda e, con il peso del suo corpo, l’aveva fatta cadere in terra. Gli altri parenti erano intervenuti per difendere la donna e a loro volta si erano presi la loro dose di calci e sputi. Una serata indimenticabile.

Era enorme, a diciassette anni pesava cento chili. Un metro e novanta. A scuola lo chiamavano King Kong. Una volta, durante una gita scolastica, uccise un gatto a mani nude sotto gli occhi scioccati dei suoi compagni di classe e degli insegnanti. Lo sospesero per tre giorni ma a scuola non ci tornò più. 

Cominciò a frequentare la sala biliardo del quartiere. Il locale era di proprietà di Vincenzo “il castoro”, un uomo dai denti prominenti. In realtà quest’ultimo era solo un prestanome, il locale era gestito dalla malavita. Il boss del quartiere usava i locali della zona come attività di riciclaggio e centri dello spaccio. 

In questo posto Ennio conobbe i piccoli delinquenti che lo iniziarono alla vita della strada. Un ragazzo della sua stazza faceva sempre comodo in quegli ambienti. Si affiliò al clan di zona e comincio a occuparsi di spedizioni punitive e piccolo spaccio. Dopo pochi mesi lo si vedeva già spavaldo in sella ad una moto nonostante non avesse la patente né l’età per guidarla. Terrorizzava i suoi ex compagni di classe. Li aspettava all’uscita di scuola, gli si avvicinava con la moto e, quando era abbastanza vicino, cercava di dargli schiaffi dietro la testa o pugni sugli zaini. Poi impennava e fuggiva via. 

Nel quartiere era conosciuto come un criminale, un poco di buono. Pericoloso e imprevedibile. 

A vent’anni non aveva più contatti con la famiglia di origine. Viveva in un appartamento occupato abusivamente insieme ad un altro ragazzo con indole simile alla sua. Una casa di due stanze. Materassi lerci e puzza di urina. Sul tavolo del soggiorno era sempre pronto il piattino con la cocaina e innumerevoli bottiglie di alcolici adornavano l’ambiente.

Si fece crescere la barba e si fece fare numerosi tatuaggi. Era soprannominato “l’animale”. Anche i criminali più vecchi di lui lo temevano. Era violento più del dovuto e quando sniffava diventava psicopatico. 

Un giorno il capo della sua banda volle fargli un regalo per premiarlo dei suoi meriti. Gli diede una bustina di cocaina speciale di colore rosa. Ennio soddisfatto si chiuse in casa, preparò tutto l’occorrente per spararsi in vena quella bella pallina di polvere, si spogliò completamente nudo e si iniettò la dose.

Cominciò a viaggiare. Negli ultimi attimi di lucidità vide il papà, i nonni, i momenti della sua infanzia. Sentì su di sé le carezze e i baci d’amore della sua mamma. L’amore, una cosa che non aveva mai provato. Non era stato mai amato e non aveva mai amato nessuno, che peccato. Aveva paura. Cominciò a sudare e poi a tremare. Sentì la pelle della sua mamma che lo abbracciava, sentì il suo profumo. Si addormentò sorridendo confortato da quel caldo abbraccio e non si svegliò più. Aveva ventidue anni.

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