Guerra di quartiere

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una rissa di quartiere

Il cane del mio vicino cacava nell’androne del palazzo. Faceva degli stronzi grandi e marroni e i suoi padroni facevano finta di niente. Pulivano solo se qualcuno era nei paraggi ed erano sicuri di essere visti. Uscendo dalla mia abitazione al piano terra dovevo spesso fare slalom fra le merde e di notte dovevo stare molto attento. Gli altri inquilini del palazzo erano esasperati, spesso avevano calpestato le cacche e qualcuno era scivolato con la schiena a terra. Un giorno una signora anziana cadde malamente, urtò con l’anca lo spigolo di un gradino e si spezzò il femore. Da quest’episodio scaturì una catena di vicende che in tre settimane portarono alla guerra mondiale.

Il figlio della signora era un certo Salvo Restelli, quarantenne, imprenditore edile di Novate, mentalmente instabile. Saputo l’accaduto si presentò a casa dei miei vicini e con fare minaccioso suonò il campanello. Maria (la proprietaria del cane) aprì la porta e si beccò una coltellata nel gluteo prima ancora di capire chi fosse il suo interlocutore. Arrivarono ambulanza e polizia. Il Restelli era scappato ma fu arrestato il giorno dopo al confine con la Francia. Fu portato in carcere a Torino e poi condotto ai domiciliari a casa sua.

Il marito di Maria, il signor Carlo Lippa (il proprietario del cane) di notte non riusciva a dormire più per la paura dell’aggressione subita dalla moglie e per la sete di vendetta verso il Restelli. Voleva ucciderlo. Voleva sfregiare la sua faccia butterata come lui aveva sfregiato la chiappa della sua amata moglie. Nei giorni seguenti parlò con i suoi amici del bar delle sue voglie da giustiziere. Tra i suoi amici c’era Fernando Di Prisco, un poco di buono di origine casertana. Povero di spirito e ricco di alcol era incline alla violenza. Volendo sdebitarsi con Carlo per dei favori ricevuti in passato, Fernando andò a Novate e tagliò la gola di Salvo Restelli.

Ai funerali di Restelli c’era tutta la buona borghesia. Il carro funebre era di lusso e sul sagrato della chiesa era presente anche il console del Burkina Faso, Taribo Anede, amico della famiglia Restelli. Nascosto in un parcheggio fuori la chiesa c’era anche Carlo Lippa, chiuso in auto. Voleva vedere. Non aveva chiesto lui a Di Prisco di fare giustizia ma aveva ottenuto ciò che desiderava senza muovere un dito. Scese dall’auto per fumare e fu visto dal figlio del morto che subito iniziò ad urlare. Le guardie dell’ambasciatore si misero in allerta e decisero di far sedere in auto il proprio protetto. Carlo si mise in macchina e riuscì a partire un attimo prima che la folla gli fosse addosso. Sgommò e girò l’angolo della strada proprio nel momento in cui Anede attraversava protetto dalle sue guardie. Carlo non se ne avvide perché guardava lo specchietto. Un attimo di distrazione e mise sotto le ruote il console e un paio di poliziotti burkinabé.

Successe il finimondo. Un paio di parenti del Restelli, poco più che ventenni, si avvicinarono all’auto di Carlo che era piantata in un albero e perdeva liquidi dopo l’impatto. Tirarono fuori l’uomo dal finestrino e cominciarono a prenderlo a pugni al volto e al corpo. Alcuni operai di un cantiere edile, vista la scena, accorsero per difendere l’automobilista. In mano avevano pale e mazze. Altri parenti del morto lasciarono il feretro e si gettarono nella mischia. Le guardie del console ferite erano già in piedi. Uno perdeva sangue copiosamente da un fianco. Circondavano il console che era riverso a terra, privo di sensi e con il sangue che usciva dalle orecchie. Altre due guardie erano accorse da una vettura di scorta. Il prete, che non aveva avuto neanche il tempo di benedire la bara, si avvicinò al console ma le guardie, forse pensando ad un’aggressione, gli diedero una spinta energica. L’esile prelato perse l’equilibrio e cadde battendo la testa. Non si muoveva più. Due signori attempati si scagliarono contro gli uomini della scorta e nacque un altro focolaio di rissa. Volavano pugni e calci in bocca. Due guardie ben addestrate tenevano testa a sette uomini sui 50 – 60 anni d’età. La bara di Restelli era appoggiata sul sagrato della chiesa, i quattro uomini del servizio funebre cercavano di trascinare il parroco lontano dalle ostilità. Uno di loro fu colpito da un colpo di pala sulla schiena. Bestemmiò nostro signore Gesù Cristo mentre teneva la testa del parroco che rinvenne in quel momento e, forse per un atto riflesso, sputò dritto nell’occhio del becchino. Questi lasciò cadere la testa che colpì di nuovo il selciato e il prede svenne nuovamente. Svenuta era anche la madre del morto, seduta sulla carrozzina dove era costretta da quando era scivolata sulla famigerata merda. Non rinveniva nonostante i tentativi di rianimarla dei nipoti. La moglie del povero Restelli aveva il viso nascosto dalle mani. Guardava la scena e si conficcava le unghie nelle guance, rigandole di sangue e trucco che si scioglieva dagli occhi. Tutta la strada era un campo di battaglia. Si potevano contare una cinquantina di persone che se le davano di santa ragione. La maggior parte di loro non sapeva il perché. Arrivarono ambulanze, polizia e pompieri.

Dopo un’ora di guerriglia si riuscì a tornare alla calma. Il bilancio fu pesante: due morti (oltre Restelli), ventuno feriti e nove persone arrestate. Oltre al povero console quel giorno ci lasciò le penne anche il signor Carlo Lippa. Il parroco si fece una settimana di coma e un mese in ospedale. Ci mise sei mesi per ricordare chi fosse. Il governo del Burkina Faso chiese spiegazioni ufficiali al governo italiano, si aprì una piccola crisi diplomatica tra i due paesi.

Tutto era cominciato a causa della cacca del cane del mio vicino nell’androne del palazzo.

Mai sottovalutare i piccoli eventi e le conseguenti reazioni umane. Alcuni di essi possono cambiare il destino di un uomo e delle persone che lo circondano. I piccoli eventi possono cambiare il destino del mondo.