San Genna’ non ti crucciare
tu lo sai, ti voglio bene.
Ma ‘na finta ‘e Maradona
squaglia ‘o sangue dint’ ‘e vvene.
(Il mistero di Bellavista)

San Gennaro – murale di Jorit Agoch
San Genna’ non ti crucciare
tu lo sai, ti voglio bene.
Ma ‘na finta ‘e Maradona
squaglia ‘o sangue dint’ ‘e vvene.
(Il mistero di Bellavista)
San Gennaro – murale di Jorit Agoch
Un pezzo neomelodico ispirato dall’imposizione della mensa veicolata e precotta al lavoro. Una decisione da parte dell’amministrazione che ha portato malcontento e tristezza a tutta la compagnia.
Dedicata ai miei colleghi e a tutti i pompieri.
Le ferie sono finite. Oggi ho fatto l’ultimo viaggio, in treno da Lamezia Terme a Napoli.
Volevo ripercorrere un viaggio che avevo fatto diverse volte e che ricordavo romantico, tutto sul mare, vento nei capelli… Beh, il paesaggio è sempre spettacolare ma il romanticismo si è perso tutto. Ormai tutti i treni sono sigillati, Eurostar veloci, aria condizionata e tecnologia. Ben vengano queste cose, certo, in passato ci avrei messo sei ore per fare lo stesso tragitto. Ma vogliamo davvero tutta questa velocità? Questa fretta? A voi l’ardua sentenza.
Con questo post concludo questo diario che mi ha tenuto impegnato in questi giorni di vacanza. Siete stati davvero in tanti ad avermi seguito, vi ringrazio e vi abbraccio tutti. Spero di aver trasmesso qualcosa, di aver fatto viaggiare un po’ anche voi insieme a me.
Non sono abile nei discorsi, non vi tedierò più a lungo. Vi invito a godervi fino in fondo le vostre città, le vostre vacanze, il vostro mare, le vostre montagne, le vostre escursioni, le vostre passeggiate romantiche. Si può trovare del bello in ogni posto, basta sforzare l’occhio.
Buona estate e arrivederci.
Si parte per la Calabria. La seconda parte delle ferie la trascorreremo a Montepaone, un piccolo borgo situato 20 chilometri a sud di Catanzaro, nel golfo di Squillace.
Il piccolo viaggio prevede: A3 fino a Lamezia Terme, da Lamezia si attraversa la Calabria, si lascia il Tirreno e ci si affaccia sul Mar Jonio. Si lambisce Catanzaro e poi sulla SS106 Ionica fino a Montepaone. Ma prima dobbiamo affrontare la SALERNO – REGGIO CALABRIA, l’emblema dei lavori all’italiana,dei cantieri infiniti, dello spreco di denaro, delle infiltrazioni mafiose, del magna-magna, delle code a motore spento, dei tratti a una corsia.
Percorriamo il tratto di A3 da Napoli a Lamezia Terme. Fino a Salerno l’autostrada è a pedaggio, gestita da Autostrade Meridionali SPA, da Salerno a Reggio C. la gestione passa all’ANAS e il pedaggio non si paga più.
La situazione dei lavori di ammodernamento è molto migliorata rispetto a qualche anno fa. Il super cantiere di 30km in cui eravamo costretti su un unica corsia a 60km/h è finalmente chiuso. Resta solo un piccolo tratto in costruzione tra Lagonegro e Lauria. Forse entro il prossimo anno l’autostrada sarà tutta (fino a Lamezia) percorribile in “normalità”. Il lavoro di ammodernamento e ampliamento in realtà in alcuni tratti ha portato ad una vera e propria ricostruzione dell’autostrada, a causa dell’orografia della zona. Un’opera titanica.
Dopo aver attraversato l’Appennino nei pressi di Cosenza, alla fine di una lunga discesa, ci si trova di fronte ad uno spettacolo che ripaga di tutte le fatiche: il mare. Sulla destra (andando verso sud) si vedono le spiagge di Amantea e di Falerna. Potete aprire il finestrino e respirare l’odore del mare.
Noi siamo arrivati, a Lamezia Terme prendiamo il raccordo per Catanzaro e poi la 106 verso sud. Pochi minuti e siamo a casa a Montepaone. Ma questa è materia per domani.
Buona estate
Oggi è l’ultimo giorno che trascorriamo a Napoli, domani continueremo le nostre ferie raggiungendo la Calabria.
Ma oggi siamo ancora qui. Ci troviamo a Barra, un quartiere della periferia orientale di Napoli. Ha origini antiche, una volta era capoluogo di circondario. Storia e bellezze naturali e architettoniche facevano di Barra l’inizio del “Miglio d’oro”, la zona costiera fino a Torre del Greco dove nell’antichità i Signori venivano a trascorrere la villeggiatura.
Speculazione edilizia, abusivismo, sovraffollamento e delirio post-industriale hanno ridotto questo quartiere ad un’invivibile accozzaglia di case. Pensate che l’orto botanico di Villa Bisignano, una delle undici ville vesuviane presenti nel quartiere, negli anni ’60 fu cancellato per far posto ad un rione popolare. Adesso nel quartiere vi abitano 40 mila persone. Covo di illegalità. Assenza dello Stato. Poche regole. Libertà assoluta: ognuno può fare quel cazzo che vuole. La polizia controlla che non si ammazzino ma se può gira alla larga.
Vi abita anche tanta gente per bene, persone che lavorano, ragazzi che studiano. Ci ho abitato anche io per 17 anni e ci abitano mia madre e mio padre, ecco perché ve ne parlo.
Due sono le eccellenze che elevano Barra un gradino al di sopra del nulla. La prima è il Centro Ester, centro sportivo polifunzionale. Nuoto, calcio, atletica, tennis, basket e pallavolo. La squadra di volley femminile del Centro Ester ha gravitato anche nell’Olimpo della pallavolo in Italia ed Europa. La seconda è il Tappeto di Iqbal. Un luogo dove i ragazzi vengono strappati alla criminalità grazie al circo, al teatro e all’arte e grazie alla passione di Giovanni Savino. Il Tappeto di Iqbal è una luce che brilla nel nero del quartiere. Una speranza per questo posto, uno scoglio nel mare a cui aggrapparsi per dire a denti stretti :”resistete ragazzi, finché ci siete voi il mondo si può ancora salvare!”.
Buona estate
Stamattina, quasi per caso, abbiamo attraversato il rione Sanità, uno dei quartieri più popolari di Napoli. Da qualche anno è aperto al pubblico, dopo decenni di abbandono, il Cimitero delle Fontanelle.
Questo luogo riassume il concetto che i napoletani hanno (o forse avevano) della morte: non la fine, non qualcosa da nascondere con la sepoltura ma la continuazione della vita in un’altra dimensione. Qui sono infatti ben visibili, ordinati, decine di migliaia di teschi e ossa. Essi risalgono a varie epoche. Qui furono sepolti i morti di peste del ‘600, i morti di colera delle varie epidemie del XIX secolo ma anche alcuni resti trovati durante la risistemazione di via Acton di inizio ‘900 e altri morti ritrovati in varie parti della città. Non hanno nome, qui i morti sono tutti uguali. Forse Totò si ispirò a questo luogo per scrivere “‘a livella”: la morte rende tutti uguali, nobili, principi e pezzenti qui sono appoggiati l’uno accanto all’altro.
In questo cimitero si svolgeva il culto delle “anime pezzentelle”. Le persone che volevano chiedere una grazia “adottavano” un teschio, lo pulivano e lo sistemavano in una teca. Se le grazie venivano concesse, l’anima veniva “rinfrescata” con fiori, sigarette, lucidature. Se le grazie tardavano ad arrivare il teschio veniva riportato nell’anonimato e ne veniva adottato un altro.
Tra le decine di migliaia di teschi alcuni godono di un’attenzione particolare. Il “Capitano”, ad esempio, è un teschio a cui una sposa si era rivolta per ricevere la grazia di trovare un marito. Il Capitano l’aveva esaudita ma lo sposo era arrogante e derideva l’anima del Capitano al punto tale da infilzargli un occhio con il bastone. Il giorno delle nozze un uomo in tenuta militare si presentò al ricevimento. Aveva l’occhio bendato e, alla richiesta degli sposi di dire chi fosse, aprì la giubba della divisa mostrando le ossa e facendo morire d’infarto i due sposi. “Concetta” invece è un teschio che “suda”. Concetta è lucida mentre tutti gli altri teschi sono impolverati. Si dice che il sudore rappresenti la fatica che fanno le anime del purgatorio a purificarsi dei loro peccati.
La visita al Cimitero delle Fontanelle induce i visitatori a pensare alla morte. Superato lo sbigottimento iniziale nel vedere tante ossa umane si possono fare quelle riflessioni sulla morte che di solito si fanno quando si visita un cimitero. Solo che qui la riflessione è più profonda, il contatto con la morte è più vero, intimo, interno.
Qui si arriva davvero all’osso della questione.
buona estate
Oggi niente mare. Per la contentezza di Monica, passeggiata culturale.
Il nome della città di Napoli deriva da Neapolis – nuova città. I greci intorno al VI secolo a.C. si insediarono nell’attuale zona dei decumani provenienti da Partenope, il primo nucleo urbano che fondarono sul Monte Echia e che divenne nel tempo Palepolis – città vecchia.
I resti di Neapolis si possono ancora vedere, nella zona di piazza San Gaetano. Qui vi era l’agorà della città greca, poi diventato foro romano, poi diventato basilica paleocristiana, poi diventata la basilica gotica di S. Lorenzo Maggiore.
Questa stratificazione di urbanizzazioni è visibile entrando nel complesso monumentale di San Lorenzo Maggiore. Si attraversa il chiostro del convento dell’adiacente basilica, si scende una stretta scala e si torna indietro di 2600 anni. Gli scavi hanno portato alla luce un cardine (antica strada romana) con diverse botteghe (l’erario, un lavatoio, la tintoria, il macello) risalente al I secolo d.C. e una parte di un’opera idraulica del periodo greco, risalente appunto al VI secolo a.C.
In un solo punto quindi possiamo trovare, scendendo nei livelli, tutte le varie fasi storiche della città di Napoli. Dall’attuale piazza, passando per il periodo angioino e aragonese, fino ad arrivare alle radici più antiche della città.
Non ci pensiamo mai quando camminiamo: ad ogni passo calpestiamo il suolo che vediamo ma, sotto di noi, millenni di storia si celano ai nostri occhi. È un peccato non conoscere il nostro passato, è un crimine non difenderlo.
Buona estate
In verità il post di oggi doveva essere sulla pizza ma il blog stava diventando “caffè, pizza, mandolino, spaghetti, mafia” e quindi ho virato su “una passeggiata in centro”. La pizza l’ho mangiata lo stesso, pomodorini e provola, da Brandi, era squisita. Se volete la storia della pizza, cliccate sui link.
Descriverò invece attraverso le immagini una brevissima passeggiata nei dintorni della famosa pizzeria.
I miei nonni abitavano in via Egiziaca a Pizzofalcone, un vicoletto che corre alle spalle di Piazza del Plebiscito. Mia nonna mi raccontava un aneddoto che abbiamo ricordato durante questa passeggiata. In tempo di guerra, a causa di un bombardamento che aveva distrutto parte del palazzo dove si trovava, mia nonna per tornare in piazza fu costretta a scivolare sulle macerie. Sbucò da una delle finestrelle che si trovano sotto il colonnato della chiesa e scese in piazza “col culo per terra”. Mia nonna ci teneva a precisare che erano “davvero col culo per terra”, sia perché a quell’epoca le mutande erano roba da ricchi, sia in senso metaforico in quanto, a causa della guerra e della conseguente povertà, erano messi molto male, erano proprio “col culo per terra”.
C’è un libro che descrive bene i dintorni di Piazza del Plebiscito (Pizzofalcone, via Chiaia, Santa Lucia). Lo ha scritto Erri De Luca: Montedidio (Feltrinelli, 2002).
Buona estate
Qual è la prima cosa che fanno i napoletani quando tornano a Napoli? Sicuramente prendono un caffè. Il caffè a Napoli ha un sapore diverso, unico, inimitabile. Dicono che ciò sia dovuto all’acqua, io dico che è dovuto alla cultura e all’amore che il napoletano insinua nel gesto del caffè. Al Gambrinus, al Caffè del Professore, al bar Mexico; in centro, ai decumani, a piazza Dante, in periferia… il caffè di Napoli è patrimonio dell’umanità.
Il rito del caffè di solito prevede alcune consuetudini: si entra nel bar, si saluta, si paga in anticipo. Il caffè costa ancora 80 cent, a volte anche meno. Le monete del resto vengono appoggiate sul bancone del bar insieme allo scontrino. Il barista prende scontrino e monete e appoggia sul bancone un bicchiere d’acqua fresca. Mentre vi “sciacquate” la bocca il caffè esce gocciolando come oro liquido dal crogiolo della macchina che quasi sempre ha il meccanismo “a pistone”: una leva che il barista aziona con sapiente movimento del braccio.
La tazzina si presenta calda, fumante, con quel caffè che sembra abbia la densità della lava del Vesuvio. Spesso lo zucchero è già stato messo dal barista. Dovete solo girare il cucchiaino e degustare. Mentre il caffè scivola sulle papille gustative, i recettori nervosi della lingua inviano al cervello segnali di poesia. Il cervello li elabora e voi sentite profumi di tradizione. Storia, cultura, folclore si mischiano nella vostra mente. Vedete il mare, Santa Lucia, Pizzofalcone, i profumi di ragù che escono dai bassi. I vicoli stretti, le scalinate, i panni stesi da una finestra all’altra, profumo di biancheria e pizza fritta. Il Duomo, la festa di San Gennaro, Maradona. Eduardo, Totò, Sophia Loren, i bambini in piazza del Plebiscito, la collina del Vomero. Il teatro S. Carlo, il Palazzo Reale, S. Antonio a Posillipo, la vista del Golfo con Capri all’orizzonte. Con pochi centesimi potete rivivere la storia millenaria della città più controversa del mondo, come una macchina del tempo. Un viaggio da sogno in un battito di ciglia. Grazie al caffè, anzi ‘o cafè.
Ah, dimenticavo: il caffè a Napoli è buono pure con la moca o con la macchinetta napoletana (sapete che cos’è?).
Buona estate
Andiamo al mare. Panarea? Formentera? Taormina? … Portici! C’è il Lido Arturo, uno stabilimento balneare di antica tradizione. Nel pieno del caos cittadino, due curve e cento metri di strada separano la città con più alta densità di popolazione d’Europa dal Lido Arturo. Attraversiamo il porto del Granatello e siamo già in spiaggia. Ingresso rigorosamente a pagamento (2,50€), vi mette a disposizione lettini, ombrelloni, sdraio, cabine e bar. Un solarium bellissimo si stende sugli scogli. Qui la creme dei porticesi e dei napoletani si distende al sole e discorre degli argomenti più svariati, dal Napoli alla politica, si decantano le bellezze del posto. Una bella spiaggetta, a volte affollata, è l’ideale per i bambini e per gli anziani che hanno voglia di fare due chiacchiere e una passeggiata sul bagnasciuga. La sabbia è nera, come tutte le spiagge della zona, di natura vulcanica. Il Vesuvio, altero e maestoso, si staglia alle spalle dei bagnanti. Di sera il lido si trasforma in club, con serate, balli e cabaret, tanti eventi e tanti spettacoli.
Noi siamo fedeli frequentatori del Lido Arturo. A pochi chilometri da casa dei miei, è l’ideale per andare al mare e poi tornare a casa a mangiare da mammà. Parcheggio in piazza e navetta gratuita. Ingresso, lettino, un bagnetto, un caffè, un po’ di sole… mezza giornata di relax. Due chiacchiere con “la prof” o con “don Vincenzo” (clienti storici) e, quando il caldo diventa opprimente, si torna a casa.
Se vi trovate dunque a passare nei pressi della Città di Portici, vi consiglio di fare un bagno al Lido Arturo. Senza dimenticare di visitare i luoghi interessanti e intrisi di storia del circondario: il porto del Granatello, piazza S. Ciro, chiesa di S. Pasquale, Reggia di Portici e Villa Savonarola.
Buona estate.